Galleria Martina Simeti, 2025

“L’Impronta: Riccardo Camoni, 1979-1983”
a cura di Mariuccia Casadio

“Un artista è un pellicano oppure niente”
– RC


Fui colpita dalla sua determinata fedeltà a pochi colori. Soprattutto il rosso, vivido protagonista, che interagiva a volte con il nero sullo sfondo chiaro del foglio. Erano i primissimi anni Ottanta e le sue forme dipinte e monocrome vidi che ricercavano le tre dimensioni, una presenza aggettante, architettonica, proiettata nello spazio. Riccardo Camoni ha incrociato la mia vita e quella di Martina Simeti ancora bambina, visto che lo studio del padre Turi si affacciava sullo stesso cortile dove anche Riccardo aveva il suo in Viale Bligny 27. Sempre lì, allo stesso indirizzo, anche la madre di Martina, Carta Ortelli, aveva aperto una galleria che portava il suo nome e che ancora viene ricordata dai più esperti per un’attività che ha segnato e in molti casi precorso il tempo. 

Da questa memoria condivisa è nata l’idea di questa piccola personale postuma che ho voluto intitolare “L’Impronta”. È un titolo che mi è venuto fuori così, in modo quasi naturale, perché quello di lasciare tracce nell’immaginario è stato il sogno e l’impegno di quelle generazioni degli anni Sessanta e Settanta. Il visibile era allora in subbuglio, in evidente evoluzione, e Riccardo Camoni possedeva e proiettava nel suo lavoro quel desiderio epocale, diffuso e determinato di ricercare e trasformare. 

Il tutto rosso, con pochi colpi di nero, è quanto ho privilegiato in modo esclusivo, per dare risalto a una ricerca quanto mai puntigliosa, ma anche estremamente variegata. Lo stesso colore lo vedi infatti prendere corpo in forme diverse, più sfumate e più decise, aderenti alla pagina, ma anche in rilievo, in costante evoluzione e fino a divenire dipinti-scultura sospesi nello spazio. Si tratta di lavori generati alla fine degli anni Settanta e perfezionati nei primi Ottanta. Si tratta, ovvero, degli anni in cui mi sono soffermata più a lungo sul suo assai intellettuale e rigoroso legame con l’arte, gli anni del mio più nitido ricordo.

Non posso dire invece chi ci mise in contatto, ma proprio di recente ho ritrovato un mio scritto realizzato in occasione di una sua personale nella galleria G7 Studio di Bologna nell’aprile del 1980. Quindi tutti i conti tornano, forse quella fu l’occasione. Per presentarlo lo intervistai e mi parve da subito molto sintetico di pensiero e autonomo d’azione, di poche parole e mai senza quel sorriso un po’ sornione. Se quella di conoscermi fu o non fu proprio una sua iniziativa, lasciò comunque un segno, anzi i segni che mi trasmise furono svariati, visto che alle mie domande, già anche troppo esplicative, decise di rispondere con degli interventi grafici e poche parole annotate a mano. “Simmetrie terse eleganti fredde ellittiche” annota. Oppure “Non so perché tutto rosso è rosa.” E ancora “Argomenti razionali “, “arte dei bassifondi”, “l’autore è l’attore. Il mio lavoro non c’entra niente con me.” In mezzo cita Martin Scorsese, Stanley Donen, Busby Berkeley e con quel grande cinema ti spiazza, come a dire non è dall’arte che genera altra arte, le sue risorse si trovano altrove, ovunque sia tra visibile e non visibile, materia e anti materia, spiegabile e inspiegabile. 

Riccardo Camoni è impresso nella memoria dei miei incontri ravvicinati con l’arte di quel preciso periodo. Quello appunto dei primissimi anni Ottanta italiani, che appariva internazionalmente attivo e vivace. Più che mai se osservato a Milano, sempre e da sempre fucina di innovazioni, ma in quel lasso storico particolarmente eclettica e prolifica. Ricorderei sommariamente che la moda stava entrando in scena in modo incisivo se non rivoluzionario. Che da Gaetano Pesce al Gruppo Memphis di Ettore Sottsass, e dallo Studio Alchimia di Alessandro e Adriana Guerriero alla Domus Academy fondata da Andrea Branzi, il postmodernismo di architettura e design propendeva al multidisciplinare, facendo confluire nel progetto svariati riferimenti culturali e artistici. O ancora che, divenuto direttore di Domus nel 1979, Alessandro Mendini quel legame sempre più stretto tra forme diverse di progettualità lo promulgava sulle sue copertine e nelle sue pagine, rinsaldando così quell’intrinseco legame con tutte le arti promulgato da Gio Ponti oltre cinquant’anni prima, e declinandolo in perfetta chiave contemporanea. D’altra parte, nell’ambito specifico dell’arte, il confronto e l’interazione tra Europa e America erano ormai un dato di fatto. E mentre prefissi come post- o trans- ridefinivano la situazione in chiave critica, appariva innegabile il diffondersi di slittamenti, svisature, scossoni, rovesciamenti, provocazioni sui due versanti dell’oceano. In un tempo in cui da rivisitare e reinventare c’erano movimenti, pratiche, contenuti e contesti d’azione.

Erede di quel clima, Riccardo Camoni, che, nato a Buenos Aires nel 1950 da genitori italiani, vediamo esordire appena diciottenne nella tre giorni “arte povera+azioni povere” di Amalfi, ovvero l’edizione organizzata nel 1968 da Germano Celant a fianco di Marcello e Lia Rumma, si mostrò da subito ben determinato a lasciare una sua impronta. Quella dei suoi passi su 100 metri quadrati di sabbia battuta e lisciata nella performance di Amalfi e in seguito quella dei suoi pigmenti su carte, cartoni e altri supporti. Negli stessi anni ’70 e ’80 che videro imporsi e avvicendarsi negli Usa artisti come Brice Marden e Mel Bochner,  Richard Tuttle, Sol LeWitt o Robert Mangold, e poi Keith Haring, Basquiat e i graffitisti, Riccardo Camoni sembra fare sue analoghe riflessioni sul segno e sulla materia, che pratica in chiave intima, orbitando tra casualità e massima ricercatezza. fluidità e geometria. Architettonico almeno quanto poetico, razionale eppure passionale, nella concezione di quelle sue impronte in technicolor. Continuo a vedere nel suo lavoro l’essenza di una ricerca solo apparentemente  slegata e solitaria, perché anche oggi, dopo anni, mi sa restituire appieno l’umore di un tempo. Quello che, dagli Usa all’Italia, ci ha tramandato idee e stimoli fondanti, indagini personali e collettive fuori dai canoni, impronte di un periodo cruciale e dei suoi straordinari mutamenti.